Biografia del colonnello
Jacopo Calò Carducci

La 1a trasvolata atlantica
Orbetello - Rio De Janeiro

La trasvolata atlantica
del decennale



La storia della famiglia


LA 1^ TRASVOLATA ATLANTICA ORBETELLO – RIO DE JANEIRO
17/12/1930 - 15/1/1931


 

Dopo il successo delle crociere del Mediterraneo Occidentale ed Orientale, iniziò, nella mente di Italo Balbo, a farsi largo l'idea di affrontare l'Atlantico del Sud con una formazione di idrovolanti.
Iniziarono, così, i preparativi per una impresa che, fino a quel momento, nessuno aveva pensato potesse essere possibile.
Il 1° gennaio 1930 fu inaugurata, ad Orbetello, la scuola di Navigazione Aerea d'Alto Mare “NADAM”.
Furono scelti gli equipaggi, in tutto 14, di cui 12 per la trasvolata e 2 di riserva.
Da quel momento li aspettava un anno di studi: di navigazione, di astronomia, di addestramento al volo cieco al simulatore e con voli notturni, decolli ed ammaraggi a pieno carico nonché, per gli specialisti, studio e allenamenti secondo la loro disciplina. Il comando della Crociera fu affidato al ten. col. Umberto Maddalena, al magg. Ulisse Longo suo vice e, come ufficiale tecnico del gruppo, al ten. col. Luigi Biondi. Nella primavera, giunsero a Vigna di Valle due esemplari del nuovo S.55 A, con motori FIAT A 22 R (elaborati dall'ing. Zerbi). Uno, probabilmente il 45052 chiamato Bolama, fu affidato a Cagna e Calò Carducci. Con il ten. col. Ilari, si recarono a Bolama per verificare le capacità al decollo, le caratteristiche ambientali e quant’altro necessitava conoscere per l'imminente balzo atlantico in formazione.
A giugno iniziarono le prove più impegnative a largo raggio, diurne e notturne, da Orbetello alle coste spagnole e nordafricane. 3.100 chilometri di allenamento offrirono l’opportunità di addestrarsi anche in frangenti non sempre tranquilli, sia per ragioni meteorologiche che tecniche. Non pochi furono gli ammaraggi di fortuna; la peggiore sorte toccò al gen. Valle ed al suo equipaggio che, ammarati in pieno Mediterraneo, furono poi salvati da un peschereccio greco. In occasione delle prove di decollo a pieno carico da Orbetello, effettuate da tutti i velivoli, il migliore fu Maddalena che simulò in venti ore di volo il tempo dell'intera traversata. Il velivolo di Baldini, che per il vento stette più vicino alle colline, non riuscì a sollevarsi oltre una di queste e, strisciando sul terreno, capottò e prese fuoco causando la morte dell’R.T. Elio Stemperini, seguito poco dopo dal capitano Magdalo Ambrosino, mentre il cap. Mario Baldini ed il motorista mar.llo Zoboli ne uscivano alquanto malconci.
Stabilite le basi e gli uomini addetti, i rifornimenti e l’appoggio della Marina lungo la rotta, verso la fine di novembre tutti i preparativi erano completati. Le basi furono così prescelte: Los Alcazares, già nota per la Crociera del 1928 e base degli allenamenti compiuti nell'annata (1.200 km da Orbetello); Kenitra nel Marocco francese (700 km); Villa Cisneros nel Rio de Oro (1.600 km); Bolama nella Guinea francese (1.500 km). Quest'ultima era la base più avanzata dell'Africa per attraversare l'Atlantico e puntare verso l'America del Sud, dov'era l'altra punta più vicina, Natal (3.000 km). Lungo la costa brasiliana furono scelte Bahia (1.000 km) e Rio de Janeiro (1.400 km).

Gli equipaggi
Gli apparecchi erano pronti al via, nella laguna di Orbetello, suddivisi in quattro squadriglie di tre velivoli: la nera, la rossa, la verde e la bianca, più due idrovolanti di riserva per un totale di 14.
Gli apparecchi erano stati numerati dall'1 al 12 più i due di riserva, “officina 1” e “officina 2”, riferimento in seguito abbandonato; gli aerei furono designati con le sigle dei comandanti.
Una larga striscia in colore, secondo la squadriglia, attraversava le ali.
Gli equipaggi risultarono così suddivisi: (inserisci tabella)
Mentre gli altri apparecchi portavano - e porteranno - come sigla le prime quattro lettere del nome del pilota, quelle dell'I-DINI sono le ultime di Baldini in quanto avrebbero dato adito a confusione con l'I-BALB.
L'ultimo allenamento fu effettuato alla vigilia della partenza quando, in formazione di stormo, le quattro squadriglie portarono in volo l'estremo saluto alla tomba del capitano Ambrosino, nel cimitero di S. Vincenzo, in riva al Tirreno.
All'alba del 17 dicembre, dopo alcuni giorni di rinvii per le cattive condizioni meteorologiche, i 14 equipaggi (56 uomini) più gli altri 12 uomini di riserva si imbarcarono e, mollati gli ormeggi, dopo l'ordine “motori in moto”, la prima squadriglia “nera” con i velivoli I-BALB, I-VALL, I-MADD decollava verso il Mediterraneo, seguita dalla squadriglia bianca, dalla rossa e dalla verde.
Assunta la formazione di marcia con al vertice l'I-MADD, le squadriglie procedettero sin dopo le Bocche di Bonifacio dove il tempo peggiorò ed il volo divenne tormentato, tanto che lo stormo si divise in due gruppi. Quello dell'I-BALB, I-DONA, I-TEUC, I-LONG, I-CALO e I-DINI ammarò a Porto de Campo, a Sud di Maiorca, dove già vi erano due idrovolanti dell'Aéropostale francese, messisi al riparo dalla tempesta. L'altro gruppo di otto, l'I-MADD, I-VALL e gli altri I-MARI, I-RECA, I-BAIS, I-AGNE, I-DRAG e I-BOER, poté raggiungere Los Alcazares non senza fatica.
Per il gruppo di Balbo, che nella tempesta corse seri rischi, le tribolazioni non erano finite con l'ammaraggio. Gettate le ancore, il mare grosso non permetteva la presa e, per evitare che gli apparecchi si fracassassero sulla riva rocciosa, furono fatti arenare sulla spiaggia di una piccola insenatura. Il più danneggiato fu l'I-DINI che riportò danni all'ala destra, riparati poi dal montatore Mancinelli e dal capitano ingegnere Carlo Pezzani. Intanto il gruppo di Maddalena, che aveva superato l'arcipelago da Nord, uscito dalla zona burrascosa ammarò senza difficoltà a Los Alcazares.
Penoso fu per entrambi i gruppi conoscere le sorti dell'altro in mancanza di collegamenti radio, in quanto le radio di bordo non avevano sufficiente potenza di ricetrasmissione, data la distanza dei due gruppi. Grazie ai marconista della nave Infante Dom Jaime, Balbo ebbe poi assicurazioni da Cartagena che tutti gli otto apparecchi erano ammarati a Los Alcazares.

Ten. Calò Carducci, Serg. moretti Ireneo, Serg. Mot. Romin Augusto,
1° Av. R.T. Mascioli Tito
Il 19, la formazione sì riunì in quell'idroscalo dove si procedette a riparare diversi danni e a cambiare diverse eliche danneggiate dalla tempesta. Al rapporto degli ufficiali superiori fu constatato quanto successo, ammettendo che furono commessi grossi errori che avevano rischiato di far fallire l'impresa al suo inizio. Uno era stato quello di non aver previsto le condizioni meteorologiche in arrivo. Un secondo, quando, incontrata la bufera, non era stata invertita la rotta su Elmas se non addirittura su Orbetello. Avevano prevalso l'orgoglio e la volontà di superare la prova, fidando sulle macchine e sulla professionalità dei piloti.
Domenica 21, dodici idrovolanti decollarono, a tre a tre, per la tappa di Kenitra; all'idroscalo erano rimasti l'I-AGNE, che aveva subìto un principio d'incendio dovuto al cattivo funzionamento di un carburatore e l'I-DINI, al suo fianco per ogni eventuale assistenza. Sorvolata Gibilterra e dato l'ultimo saluto all'Europa, in cinque ore di volo i dodici apparecchi ammararono alle foci del fiume Sebù.
L'indomani, i due idrovolanti rimasti a Los Alcazares raggiunsero la formazione, pronti a decollare il 23 per Villa Cisneros. Da qui, si alzarono solo in tredici; i motori dell'I-DINI non si misero in moto. La formazione procedette per i 1.600 chilometri, tra mare sulla destra e deserto a sinistra, sino alla foce del Rio de Oro. Qui c’era Villa Cisneros, piccolo avamposto del Sahara spagnolo: un fortino, poche casupole e baracche. Il 24 arrivò l'I-DINI e si procedette ai rifornimenti, data l'imminente partenza per Bolama.
25 dicembre: Natale. Gli equipaggi volavano verso Bolama, una tappa abbastanza lunga e monotona, lasciando alle spalle il Rio de Oro, la Mauritania, il Senegal. Sopra Dakar poterono vedere a terra i tre FIAT AS 2 di Francis Lombardi, Franco Mazzotti e Mario Rasini, in sosta nella loro circumnavigazione dell'Africa. Dopo 1.500 chilometri le squadriglie ammarano nella rada di Bolama, nella Guinea portoghese, salutate con salve di cannone dai tre esploratori della formazione navale italiana alla fonda.
Nell'approntamento dei velivoli per la traversata si procedette al massimo alleggerimento degli stessi, si eliminò tutto quanto non era indispensabile al volo. Fu lasciata a terra tutta l'attrezzatura marinaresca, compresi i battellini di salvataggio, tutti gli indumenti degli equipaggi, le cui valigie e bauli procedettero via nave. Fu perfino sostituito il motorista Dario Parizzi, che pesava 78 kg, con Cappannini che ne pesava solo 54. Inutile sottolineare che la stessa sorte toccò, con molta probabilità, anche ai sacchi della posta.
Gli equipaggi comprendevano rigorosamente i soli titolari, escluso ogni passeggero o elemento di riserva, con la consegna, in caso di ammaraggio, di restare sull'apparecchio sino all'ultimo momento ed il divieto assoluto di ammarare per soccorrere chicchessia.
Con il solo carico necessario, gli scafi erano immersi oltre il limite di galleggiamento.
Il 2 gennaio, Maddalena con l'I-MADD ed il suo equipaggio eseguì una prova di decollo a pieno carico nell'ora più calda. Fu un decollo non troppo agevole che riuscì dopo 85 secondi di rincorsa e, dopo pochi minuti di volo, riuscì pure l'ammaraggio, sempre con il peso totale di 9.900 chilogrammi.
Il 3 gennaio 1931 le navi della Marina Militare erano partite per prendere le loro posizioni sulla rotta della Crociera onde, durante la notte. fungere da faro e di giorno da rilevamento radiogoniometrico e, non ultimo, per essere utilizzate nella ricerca e nel salvataggio degli eventuali apparecchi costretti all'ammaraggio.
Erano tutti entusiasti per la prova che li attendeva ma Balbo, conscio della responsabilità che pesava sull’Aeronautica italiana, in confidenza disse a Valle: <<Sarà un successo anche se solo sei o sette apparecchi raggiungeranno il Brasile>>.
Con il miglioramento delle condizioni meteorologiche sull'oceano, il 5 gennaio si decise per la partenza, fissandola per le 01.30 del giorno 6, favorita dalla luna alta. Puntuale, all'ora fissata, un razzo verde si alzò nel cielo e, nel medesimo momento, l'I-MADD iniziò la sua corsa sull'acqua in direzione di un gran fuoco che ardeva su una lontana sponda. Subito dopo, poiché l'ordine di decollo era fissato per squadriglie, anche le altre diedero “tutto motore” e mentre le prime si innalzavano regolarmente, l'apparecchio di Valle non riuscì a staccarsi dall'acqua.
Mentre gli altri 12 erano già in rotta, anche l'I-RECA subiva la stessa sorte dell'I-VALL e ambedue, in attesa che i motori si raffreddassero, assistettero ad una grande fiammata che si levò dal buio dell'orizzonte. Era l'I-BOER che 12 minuti dopo il decollo era precipitato in mare e, incendiandosi, aveva portato sul fondo le ragioni di quella caduta ed i suoi uomini: il capitano Luigi Boer, il tenente Danilo Barbicinti, il sergente maggiore Ercole Imbastari e il sergente Felice Nensi.
I due apparecchi che non erano decollati, l'I-VALL e l'I-RECA, si apprestarono ad un nuovo tentativo di decollo, alleggerendosi di alcuni quintali di carburante a scapito di una prudenziale maggiore autonomia. Alle 03.00 i due idrovolanti, dato “tutto motore”, procedettero alla corsa per staccarsi dall’acqua. Mentre l'I-VALL riuscì nel faticoso lento decollo, l'I-RECA, raggiunti pochi metri d'altezza, perse velocità e nel pesante impatto con il mare sfasciò lo scafo destro, causando la morte dcl motorista, il sergente Luigi Fois.
L’I-VALL rincorreva con un'ora e mezza di ritardo la formazione degli undici in navigazione, che procedevano compatti con i piloti a “tutt'occhi” per tenere ridotte le distanze ed evitare collisioni. Le prime navi erano state raggiunte e superate e, alle prime luci dell'alba, allentatasi la tensione del pilotaggio al buio, le squadriglie poterono procedere a vista, anche se vento e piovaschi violenti si abbattevano sugli idrovolanti erodendo le eliche.
L'I-DONA, esso pure per falle al radiatore, ammarò nei pressi del Pancaldo a 750 km da Fernando de Noronha e raggiunse l'isola a rimorchio, con meno peripezie dell'altro aereo, alle 05.00 dell'8 gennaio. Riparate le avarie con i mezzi propri e rifornitosi, questo idrovolante riuscì a partire e a raggiungere a Natal gli altri dieci apparecchi. Colà erano giunti in nove dopo 18 ore e 30 minuti, seguiti dall'I-VALL che ne impiegò 17.
Il consuntivo della traversata dell'Atlantico Meridionale ora segnava un attivo dell'Italia tale da costituire un primato come numero di piloti, apparecchi e motori transatlantici. Quando Balbo apprese la sorte toccata all'I-BOER e all'I-RECA a Bolama e la perdita di cinque uomini, rammentò agli equipaggi vittoriosi che la tragedia era lo scotto che toccava ai trionfatori e che alla partenza da Orbetello ognuno era conscio della sorte che poteva toccargli. Ad ognuno dei cinque caduti fu dedicato un apparecchio ed il nome fu scritto su un lato dello scafo. L'I-AGNE ricevette quello di Luigi Boer, l'I-DRAG di Danilo Barbicinti, l'I-DONA di Ercole Imbastari, l'I-CALO di Felice Nensi e l'I-BAIS di Luigi Fois. Al momento della dedica non si sapeva ancora che l'I-BAIS fosse votato al naufragio. L'I-DINI fu battezzato con il nome di Magdalo Ambrosino, l'I-TEUC con quello di Elio Stemperini, periti ad Orbetello in un volo di addestramento. Non furono dimenticati Pier Luigi Penzo e Tullio Crosio caduti al rientro dalla ricerca dei naufraghi dell'Italia, ai quali fu dedicato l'I-MADD e l'I-LONG come, infine, a Francesco Baracca l'I-BALB e ad Alessandro Guidoni l'I-VALL.
L'11 gennaio, gli undici idrovolanti presero il via per Bahia: a bordo fu imbarcato tutto quanto avevano dovuto affidare alle navi per alleggerire i velivoli nella traversata e furono accolti gli uomini di riserva giunti per nave, il gen. Aldo Pellegrini che aveva organizzato le basi, in America, il nipote di Balbo, Lino, ed i giornalisti che erano stati in attesa dei trasvolatori: Adone Nosari, Nello Quilici, Ernesto Quadrone, Mario Massai, Michele Intaglietta e Luigi Freddi.
La navigazione fu effettuata lungo la costa ed alla foce di un fiume ammarò l'I-TEUC per una breve sosta, onde riparare un montante di un radiatore. Alle 14.30 lo stormo era su Bahia dopo aver superato i mille chilometri che la dividevano da Natal. In porto erano ormeggiati quattro nostri esploratori: Da Recco, Tarigo, Vivaldi e Da Noli, che avevano fatto la guardia sull'Atlantico.
Tre giorni di sosta e poi, il 15, decollo per il gran finale a Rio de Janeiro: 1.400 chilometri compiuti con vento favorevole tanto da giungere un'ora prima, bordeggiando in formazione di parata per ammarare all'ora stabilita contemporaneamente all'arrivo delle nostre otto navi. A Rio, gli undici apparecchi scesero nell'insenatura di Botafogo, dove migliaia e migliaia di persone si riversarono lungo il litorale della baia di Guanabara. Allo sbarco, gli “atlantici” furono salutati con salve di cannone dalle navi italiane e brasiliane e con i festeggiamenti di benvenuto; giunsero telegrammi dalle più alte autorità italiane, elogi da ogni parte del mondo ed ancora inviti a ricevimenti sino al 7 febbraio, giorno dell'imbarco sul piroscafo Conte Rosso per il rientro in Italia. Mentre la nave lasciava la baia di Rio, alcuni S.55 dal cielo davano l'ultimo saluto ai piloti che li avevano colà portati.